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Data aggiornamento: 2010/09/12
Domanda concisa
Se il successore del Profeta (S) era chiaro fin dall’inizio, perché il Profeta (S) nella questione della successione si è limitato a invitare i suoi parenti ad accettare l’Islam?
Domanda
Se il successore del Profeta (S) era chiaro fin dall’inizio, perché il Profeta (S) nella questione della successione si è limitato a invitare i suoi parenti ad accettare l’Islam?
Risposta concisa

Dal punto di vista sciita, l’imamato è una carica donata da Dio l’Altissimo e che viene comunicata tramite il Suo Profeta (a); questo poiché l’imam dev’essere infallibile e solamente Dio e il Suo Profeta sanno chi possiede l’infallibilità ed è degno dell’alta carica della wilayat (guida) e dell’imamato. Il fatto che, apparentemente, il Profeta (s) si è limitato a porre la condizione di accettare l’Islam per stabilire il suo successore, è motivato da varie ragioni:

1.     Il Profeta (S) ha fatto ciò per dare un ultimatum alla gente, dimodoché in futuro non dicesse: “Perché non hai scelto noi o altri?”. Inoltre, poiché gli individui presenti alla riunione (oltre ad Alì -A-) rifiutarono liberamente l’invito del Profeta (S), non rimanesse nessuna possibilità di protesta.

2.     In questo modo è stata dimostrata la superiorità del nobile Alì (A) sugli altri ed è diventato chiaro chi durante il periodo di solitudine del Profeta (S), un periodo di pressione e ostilità da parte dei nemici, possedeva un tale coraggio da mostrare il proprio sostegno al Profeta divino (S) in modo manifesto e senza alcun tipo di timore.

3.     Il compito del Profeta (S) era di preparare la gente a due cose, affinché in futuro e dopo di lui, chi avesse cercato la verità non sarebbe stato deviato. Una è la questione del pilastro dell’imamato, poiché la società senza imam e guida è destinata all’annientamento e al declino, e l’altra è la preparazione della base per accettare Alì (A).

4.     Sia chiaro il motivo della scelta di Alì (A) come successore (nonostante la sua giovane età) alle future generazioni; poiché anche se la carica dell’imamato è divina, necessita di un motivo convincente al fine di soffocare ogni tipo di scusa per disobbedire.

5.     Questa questione è conforme al libero arbitrio dell’essere umano, nel quale crede la scuola sciita. In questa vicenda sia i rappresentanti dei quraisciti hanno scelto liberamente di non accettare, sia Alì (A) ha accettato liberamente l’invito del Profeta (S). Nonostante tutte le questioni fossero già scritte nella tavola preservata di Dio, però è l’essere umano che con il proprio libero arbitrio prepara la base per le grazie divine, la guida e gli errori; diversi versetti accennano al fatto che la guida e gli errori dipendono dalle azioni che compie l’essere umano e prepara in questo modo se stesso.

6.     La vicenda del giorno dell’inzar mostra che la società islamica si fonda sulla libertà e scelta dell’individuo stesso e non esiste alcun obbligo, dittatura o pregiudizio, ma è dall’idoneità dell’individuo che consegue la base per accettare una responsabilità; questa idoneità è basata su criteri divini e non di famiglia o rapporto.

Risposta dettagliata

Dal punto di vista sciita, l’imamato è una carica donata da Dio l’Altissimo e che viene comunicata tramite il Suo Profeta (a); questo poiché l’imam dev’essere infallibile e solamente Dio e il Suo Profeta sanno chi possiede l’infallibilità ed è degno dell’alta carica della wilayat (guida) e dell’imamato. Il fatto che, apparentemente, il Profeta (s) si è limitato a porre la condizione di accettare l’Islam per stabilire il suo successore, è motivato da varie ragioni:

1.     Il Profeta (S) ha fatto ciò per dare un ultimatum alla gente, dimodoché in futuro non dicesse: “Perché non hai scelto noi o altri?”. Inoltre, poiché gli individui presenti alla riunione (oltre ad Alì -A-) rifiutarono liberamente l’invito del Profeta (S), non rimanesse nessuna possibilità di protesta.

Il Profeta (S) non ha esposto la loro indegnità e inettitudine alla successione e al califfato, né esplicitamente né personalmente, poiché ciò deve chiarirsi naturalmente e nel corso degli eventi, affinché diventi più sensibile e comprensibile ai musulmani e non crei rancore e inimicizia verso il Profeta (S). Esistono anche altre vicende (simili a quella del califfato)[1] nelle quali il Profeta (S) sapeva fin dall’inizio che alcuni sarebbero stati indegni e incapaci di portare a termine una responsabilità; per esempio nella guerra di Khandaq[2] non vi era avversario, tranne Alì (A), che potesse scontrarsi con 'Amr ibn 'Abd Wad, oppure nella guerra di Khaybar il Profeta (S) inviò alcuni a combattere, ma furono sconfitti e non riuscirono a conquistare Khaybar.[3] Anche in un'altra vicenda il Profeta (S) inviò alcuni compagni per recitare la sura al-Tawbah e poi li sollevò da questo incarico.[4]

2.     In questo modo è stata dimostrata la superiorità del nobile Alì (A) sugli altri ed è diventato chiaro chi durante il periodo di solitudine del Profeta (S), un periodo di pressione e ostilità da parte dei nemici, possedeva un tale coraggio da mostrare il proprio sostegno al Profeta divino (S) in modo manifesto e senza alcun tipo di timore. Come nella vicenda della conquista di Khaybar dove il Profeta (S) disse: “Domani darò lo stendardo di guerra a colui che continua ad attaccare senza fuggire”[5], nonostante sapesse fin dall’inizio che solamente Alì (A) sarebbe stato in grado di portare a termine quell’incarico; oppure nella guerra di Khandaq dove prima il Profeta (A) preparò il terreno e poi inviò Alì (A) per rendere ovvia la sua superiorità sugli altri, e per completare disse: “Si è manifestato l’Islam tutto contro la miscredenza tutta”[6]. Ogni volta che il nobile Messaggero dell’Islam (S) usciva da Medina, nominava Alì (A) suo luogotenente per manifestare la sua superiorità in modo allusivo e pratico. Se così non fosse stato, la maggior parte dei musulmani non avrebbe accettato la superiorità di Alì (A) sugli altri, soprattutto a causa della presenza di nemici e munafiqin, che con la loro propaganda negativa cercavano di fermare il dovere del Profeta (S) e di arrivare ai loro fini infausti.

3.     Il compito del Profeta (S) era di preparare la gente a due cose, affinché in futuro e dopo di lui, chi avesse cercato la verità non sarebbe stato deviato. Una è la questione del pilastro dell’imamato, poiché la società senza imam e guida è destinata all’annientamento e al declino, e l’altra è la preparazione della base per accettare Alì (A).

4.     Sia chiaro il motivo della scelta di Alì (A) come successore, alle future generazioni, ovvero perché il Profeta (S) lo avesse scelto nonostante la sua giovane età. Poiché anche se la carica dell’imamato è divina, necessita di un motivo convincente al fine di soffocare ogni tipo di scusa per disobbedire. Se avesse scelto senza consigliarsi con alcuno, per la gente dell’epoca del Profeta (S) sarebbe apparsa strana la priorità di un bambino rispetto agli altri, senza contare le generazioni future che non hanno vissuto all’epoca del Messaggero di Dio (S). Perciò questa scelta doveva essere tale che il motivo della superiorità di Alì (A) rispetto agli altri, fosse chiara e dimostrata nella storia e durasse per sempre, altrimenti i nemici avrebbero potuto prendere la scusa che il Profeta (S) non aveva scelto loro per compiere un certo lavoro e inoltre non sarebbe stato dimostrato che non avevano né l’idoneità né la capacità di compierlo, oppure che un altro individuo era superiore a loro.

5.     Questa questione è conforme al libero arbitrio dell’essere umano, nel quale crede la scuola sciita. In questa vicenda sia i rappresentanti dei quraisciti hanno scelto liberamente di non accettare [7], sia Alì (A) ha accettato liberamente l’invito del Profeta (S)[8] . Nonostante tutte le questioni fossero già scritte nella tavola preservata di Dio, però è l’essere umano che con il proprio libero arbitrio prepara la base per le grazie divine, la guida e gli errori; diversi versetti accennano al fatto che la guida e gli errori dipendono dalle azioni che compie l’essere umano e prepara in questo modo se stesso.

6.     La vicenda del giorno dell’inzar mostra che la società islamica si fonda sulla libertà e scelta dell’individuo stesso e non esiste alcun obbligo, dittatura o pregiudizio, ma è dall’idoneità dell’individuo che consegue la base per accettare una responsabilità; questa idoneità è basata su criteri divini e non di famiglia o rapporto. Probabilmente il miglior simbolo e manifesto di libertà è la collaborazione della gente nelle questioni sociali e il consigliarsi con loro. La consultazione riveste una particolare importanza nell’Islam e nonostante il Profeta (S) fosse legato alla rivelazione e possedesse l’infallibilità, oltre a elevata intelligenza e sagacità, invitava i musulmani a consultarsi e scambiarsi opinioni. Certamente il Profeta (S) nei princìpi delle regole divine non si consigliava con la gente e obbediva alla rivelazione divina, però si consigliava con loro sul come applicare ed eseguire alcune regole; com’è stato accennato in alcuni punti del Corano.[9] Nella terza sura, il motivo dell’ordine di consigliarsi, fu che durante la guerra di Uhud l’essersi consigliato con i compagni non aveva avuto un esito positivo e quindi si pensava che il Profeta (S) non si sarebbe più consigliato con i musulmani.[10] Un altro esempio è la guerra di Badr nella quale il Profeta (S) si consultò con i propri compagni, tra cui Habbab ibn Munzir[11].

Gli obiettivi della consultazione con la gente sono i seguenti:

1.     Avvicinare i cuori e le opinioni dei musulmani tra loro e creare familiarità e amicizia.

2.     Dare importanza alle persone e rispetto alla personalità degli individui nella società, creando il terreno per lo sviluppo delle loro capacità; poiché tramite la consultazione si definiscono l’’idoneità e le capacità degli individui, e si forma la loro personalità.

3.     Rendere il Profeta (S) un esempio nella consultazione con altri per la nazione islamica; così come dice il Corano: “Avete nel Messaggero di Allah un bell'esempio per voi [o gente]”[12].

4.     Non attribuire le vittorie o le sconfitte a un individuo particolare e coinvolgere tutta la società nelle imprese positive e negative.



[1] Balazuri, Ansab al-Ashraf, vol. 1, pag. 580; Ibn Qutaybah al-Dinwari, Al-Imamah wa al-Siasah, pag. 9; Mas'udi, Muruj al-Zahab, vol. 2, pag. 304.

[2] Sobhani Ja'far, Forugh-e Abadyat, pag. 545; Bihar al-Anwar, vol. 20, pag. 227.

[3] Tarikh Tabari, vol. 2, pag. 300; Sobhani Ja'far, Forugh-e Abadyat, p. 467; Ibn Hajar 'Asqalani, Al-Isabah, vol. 2, pag. 508.

[4] Bihar al-Anwar, vol. 21, pag. 266 in poi; Tafsir al-Mizan, vol. 9, pag. 162.

[5] Sobhani Ja'far, Forugh-e Abadyat, pag. 647; Sire-ye Halaby, vol. 3, pag. 41.

[6] Ibidem.

[7] Tarikh Tabari, vol. 2, pag. 63; Sire-ye Halaby, vol. 1, pag. 286; Bihar al-Anwar, vol. 38; Kanz-u al-'Ummal, vol. 15, pag. 15.

[8] Ibidem.

[9] Sacro Corano, 3:159 e 42:38; Tafsir al-Mizan, vol. 4, pag. 70; Majma' al-Bayan, esegesi del versetto 159 della terza sura.

[10] Al-Dar al-Manthur, vol. 2, pp. 80 e 90; Tafsir al-Mizan, vol. 4, pag. 70.

[11] Sahih Muslim, vol. 5, p. 170; Al-Bidayah wa al-Nahayah, vol. 3, pag. 263.

[12] Sacro Corano, 33:21.

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